Bernardí Roig "BLOW UP"

19.12.2017 12:39

 

 Non vedeva nulla , ma ben lontano dal preoccuparsi per questo, fino a quest’assenza di visione il punto culminante del suo sguardo. Il suo occhio inutile per la vista, acquisiva proporzioni straordinarie, si sviluppava in modo smisurato ed estendendosi sull’orizzonte, lasciava che la notte penetrasse fino al suo centro per ricevere il giorno. In mezzo a questo vuoto si confondevano lo sguardo e l’oggetto guardato”  Maurice Blanchot nel ruolo di Thomas l’oscuro.

Nel 1966 Michelangelo Antonioni adatta il racconto di Julio Cortazar “Las barbas del diablo” (La barba del diavolo) e lo trasforma in Blow up, film di culto che ritrae la vita accelerata e la freschezza della generazione Pop che viveva a Londra negli anni sessanta. Thomas (il fotografo di Blow up) in una chiara allusione al romanzo di Maurice Blanchot (Thomas l’oscuro) decide dopo aver cercato quadri di paesaggi da un antiquario, di andare al Marion Park a procurarseli con la sua macchina fotografica. Lì è dove il suo voyerismo gli fa scoprire che si è commesso un crimine. Thomas nel suo ruolo di professionista della visione si ossessiona con quella scoperta come accade a L.B Jeffries (James Stuart) nel film di Hitchcock “La finestra sul cortile”. In entrambi i casi si tratta di guardare in modo ossessivo e insistente perchè c’è sempre qualcos’altro da scoprire. Quel qualcosa è ciò che resta sottratto allo sguardo e che ne produce il significato. Thomas (il fotografo) sa che vive in un mondo frammentato, che l’individuo non coincide con quel mondo e che ciò che lui guarda non coinciderà mai con l’oggetto guardato. C’è sempre qualcosa in ciò che guardiamo che ci fa trascendere ciò che stiamo osservando. Di questo parlano le immagini, di affinare lo sguardo a tal punto da polverizzare i limiti del mondo delle apparenze. 

Il progetto BlowUp di Bernardi Roig per poter essere sviluppato nel parco della Villa Reale di Monza richiede l’ubicazione di cinque statue bianche di alluminio a grandezza naturale che si confrontano e dialogano costantemente con lo spazio naturale del paesaggio. Le sculture, nascoste tra il fogliame e gli arbusti del parco, obbligano ad un percorso di rivelazione dell’immagine occulta da parte dello spettatore. Una mostra di sculture che pur essendo pesanti e voluminose sembrano non essere presenti. Come Thomas (il fotografo) che ci obbliga attraverso il suo sguardo trasversale, a seguire le tracce in cui inserire il significato, Bernardi Roig con il suo intervento nel parco della Villa Reale, cerca di situare lo spettatore più in la del suo stesso sguardo. Tutto il suo lavoro è sempre stato basato su una stretta relazione e tensione con la memoria delle immagini, usando sempre, la luce come metafora di quella stessa memoria. È l’intreccio del racconto che ci permette di affrontare nuovamente l’eredità visiva e che ci rimetterà in prima linea con le emozioni. 

Attraverso la sua opera plastica, principalmente sculture bianche create con i calchi di persone reali, che sono un riflesso post-mitologico sul senso stesso della figura umana, come ultima e solitaria presenza, Bernardi Roig propone un itinerario basato su idee vincolate all’atto eroico del guardare. Usando la luce, non per illuminare ma al contrario, per accecarci, obbliga allo sforzo di esplorare un’immaginario ingabbiato nella nostra memoria impressa. 

 

I suoi ultimi lavori non sono altro che un’emozione, vanitas contemporanea che ci edifica attraverso l’impossibilità della creazione, per proseguire il cammino sulle ceneri dell’immagine.